A tutto ciò che di giusto è stato scritto aggiungo un altro motivo che spinge a non denunciare - quello che, per tanto tempo, è stato il mio motivo: l'inconsapevolezza di essere vittime.
Ho subito abusi e violenze sessuali durante il mio primo ricovero in ospedale (ospedale universitario di Padova), tra i sette e gli otto anni. Due infermieri, nel turno di notte; quasi ogni notte, per tutti i cinque mesi di ricovero. Dicevano che era parte della terapia, un trattamento riservato alle bambine "difficili;" un segreto di cui non avrei dovuto parlare, tanto "Sei solo una bambina, chi vuoi che ti creda? È la tua parola contro la nostra." In reparto venivo tenuta in isolamento: mi era proibito lasciare la mia stanza (nemmeno per andare in mensa, o a scuola); non potevo ricevere visite; quando cercavo di raggiungere il telefono pubblico nella sala comune venivo portata via a forza; mi perquisivano regolarmente per assicurarsi che non avessi gettoni o schede telefoniche; o matite, penne, carta per scrivere.
Da quell'ospedale è uscito un esserino di 27 chili, terrorizzato da tutto e da tutti. Da quel momento in poi, il mio unico obiettivo fu dare un'apparenza di normalità per non tornare in ospedale: la scuola, i buoni voti, lo sport, poi la patente, la fuga da casa per frequentare un'università a 400 km di distanza, il lavoro. Avevo messo l'accaduto in una scatolina del mio cervello, e gettato via la chiave; ma lasciando che il contenuto rovinasse irrimediabilmente il rapporto con me stessa, con il mio corpo, con i corpi degli altri. Silenzio, anche quando ho finalmente capito di essere stata vittima innocente di qualcosa di atroce; silenzio, anche con gli ottimi medici che ho conosciuto e che tutt'oggi mi seguono per la mia malattia; silenzio anche con il medico con la quale ho svolto un lungo percorso di psicoterapia in training autogeno.
Silenzio fino al 6 gennaio scorso, quando, in preda a una fortissima crisi distonica e convulsiva, con dolori oltre la soglia del tollerabile, delirante, prima che mi portassero in ospedale, ho urlato a mio padre di tutto; e nel tutto c'erano anche le violenze subite decenni prima. Potessi tornare indietro, mi strapperei la lingua a morsi, perché gli ho solo scaricato addosso un altro peso, altro senso di colpa; ma lui non sapeva, non poteva sapere, non avrebbe mai affidato la sua bambina, che gli stava morendo tra le mani, nelle mani di quei mostri.
Ora, indietro non si torna, i danni sono stati fatti, e non sono riparabili. L'unica cosa che posso fare è dire alle vittime ciò che a me non è stato detto: siete innocenti, non avete alcuna colpa; la colpa è solo, sempre e tutta dei vostri aguzzini. Parlate senza paura e senza vergogna, e soprattutto denunciate alle autorità: perché i colpevoli di certi abomini meritano il carcere a vita, senza giustificazioni, attenuanti, sconti di pena; affinché non vi siano altre vittime. Denunciare è difficile e doloroso, e qui si innesca senz'altro la paura di non essere creduti; più la realtà di una giustizia che non funziona. Però lo ritengo doveroso - un dovere civico e civile.
E c'è anche bisogno di sfatare qualche pregiudizio e luogo comune: che abusi e violenze sessuali siano "cose da donne" (non è vero, ne sono vittime anche i maschi; vittime di altri maschi, ma a volte anche delle donne); che abusi e violenze sessuali siano provocati, istigati, causati da fattori come l'abbigliamento (una gonna troppo corta, dei jeans troppo attillati), il trucco, uno sguardo "sbagliato," e perciò cercati, meritati, voluti (non è vero: chi vuole aggredire lo fa a prescindere da qualsiasi cosa - vittima nuda, vittima vestita da capo a piedi; e che l'orrida domanda "Com'eri vestita?" sparisca per sempre dalle bocche).
Durante gli anni delle medie e delle superiori sono stata vittima di bullismo: violenza verbale (prese in giro costanti, insulti, offese), occasionalmente anche fisica (spintoni, sgambetti, calci, sputi). Ero colpevole di essere troppo brutta, troppo bassa, troppo magra, troppo grassa, troppo "strana" - diversa. Lì sapevo di essere una vittima, ma non sapevo si trattasse di un reato denunciabile. Accennando la cosa in famiglia e a scuola, poi, la risposta era: lascia perdere, sono cose da ragazzini, cresceranno, col tempo passerà. Quindi: minimizzazione e banalizzazione del problema. E, di nuovo, niente denuncia.
Al primo anno di università ero perseguitata da uno stalker - uno schizofrenico diagnosticato che mi pedinava ovunque, sostava in pianta stabile fuori casa mia, e una notte arrivò persino a fracassare il vetro di una finestra per cercare di entrare; poi fuggì. I vicini chiamarono la Polizia, che si limitò a prendere i suoi dati, a registrare l'accaduto e a dirmi che "se ne sarebbero occupati." Ma non c'è modo di sapere se lo fecero davvero: lui morì poco dopo in un incidente stradale.
Non mi sono mancati (e in realtà non mi mancano neppure oggi) neanche gli stalker online: cyberstalker, soggetti profondamente disturbati che sfogano il loro disagio attuando comportamenti molesti, persecutori, vessatori, in modo ossessivo, costante e ripetuto nel tempo, ai danni delle loro "prede." Leoni da tastiera che si sentono invincibili dietro a un monitor, protetti dall'immaterialità della rete e dall'anonimato. Inconsapevoli di stare commettendo un reato penale, denunciabile e perseguibile legalmente. L'apice si raggiunse nell'estate del 2022; ad ottobre sporsi regolare denuncia presso la sede locale della Polizia Postale. So bene che i reati online sono sottovalutati, so bene che i tempi di azione delle autorità sono, ad essere generosi, biblici; ma ho fatto ciò che dovevo - denunciare. E lo rifarei, dovesse essere necessario.
Col tempo ho acquisito consapevolezza, maturità, e anche informazioni e conoscenze. E, aggiungo, anche un pochino di rispetto per me stessa; abbastanza da non permettere mai più a nessuno di abusarmi, in nessun modo.
Credo di avere scritto anche troppo, quindi chiudo qui. E chiudo ripetendo ciò che non si ripete mai abbastanza: la colpa di abusi, soprusi e violenze non è mai, mai delle vittime; è sempre, solo e tutta dei carnefici. Che devono essere denunciati e puniti di pena certa e massima.
Se la mia esperienza, e magari questo mio post (che mi è costato molto; ancora non so se è stata una buona idea scriverlo), può essere utile a qualcuno, anche a una sola persona, allora la mia presenza qui ha un senso; e non è andato tutto perso.
Ringrazio ancora @Specchio800 per la domanda, e chi è arrivato a leggere sin qui.