Luca Pappagallo
In realtà, numerosi studi sociologici e psicologici (ad esempio: https://www.pewresearch.org/religion/2016/03/22/the-gender-gap-in-religion-around-the-world/) rilevano il contrario, ovvero che gli uomini tendono, in media, a manifestare una maggiore propensione all’ateismo - o alla non religiosità - rispetto alle donne, le quali, al contrario, mostrano una maggiore probabilità di aderire a forme di spiritualità o credenze religiose.
Possiamo ricondurre questa differenza a caratteristiche psicologiche ed emotive che, mediamente, distinguono maschi e femmine.
Le donne risultano in genere più aperte all’espressione delle loro emozioni, e sono più orientate alla ricerca di un significato profondo nelle esperienze di dolore, sofferenza e morte. In questa prospettiva, la religione offre un quadro interpretativo che gli consente di dare senso a tali aspetti; fornisce loro speranza, conforto nonché una dimensione trascendente utile a superare i momenti di difficoltà esistenziale.
Inoltre, la dimensione comunitaria e relazionale insita nelle pratiche religiose risponde a un’esigenza spesso più sentita dalle donne, che tendono a valorizzare le relazioni sociali e il supporto emotivo.
Al contrario, gli uomini sono, in media, più propensi a un approccio razionale e critico, che può indurli a nutrire una maggiore diffidenza nei confronti delle spiegazioni religiose.
Ho evidenziato tutti gli avverbi di modo poiché è importante riconoscere che esistono sempre eccezioni a queste tendenze generali, eccezioni di cui anch’io faccio parte.