Difenderti da YouTube, da TikTok, da Instagram. Da ogni dannato algoritmo che, sì, ti conosce, sa cosa guardi, sa cosa cerchi… e per questo ti frega peggio.
Negli ultimi tempi mi è capitato qualcosa di orribile: scene principali spoilerate a tradimento, neanche il tempo di evitarle, perché già dall’anteprima ti fottono. Nessun rispetto per chi guarda, stupidi cercatori di visualizzazioni e like che si spacciano per esperti di cinema. Oggi anche un analfabeta si mette a parlare di cinema.
Perché chi ama davvero il cinema non ti piazza una scena chiave così, senza contesto, senza introduzione, senza avviso.
Chi ama il cinema sa che quella scena; quella svolta, quella confessione, quella morte, arriva dopo un’ora o due in cui il regista ha costruito, scolpito, dosato ogni respiro per portarti lì.
Ma oggi la scena “buca” il video. Fa effetto. Fa like. E allora eccoli, i becchini dell’esperienza cinematografica: influencer con la faccia a mezz’aria e la voce fuori campo, pronti a dire “Ecco una scena che ti spezzerà il cuore” e in due minuti ti ammazzano il film.
Il problema non è il cinema. Il problema è il modo tossico in cui lo si consuma.
E alla lunga, anche il cinema stesso si piega.
Il marketing serve, certo. Un tempo c’era il trailer, uno vero esperto che ne parlava, e con poche informazioni si andava al cinema, incuriositi.
Oggi invece quel lavoro lento, essenziale, di scoprire un film, anche solo di sapere che esiste, viene stravolto da questa feccia che sono i moderni tiktoker e youtuber. Gente che decreta il successo o il fallimento di un film prima ancora che qualcuno lo veda, solo perché fa comodo all’algoritmo.
Le piattaforme chiedono ai registi di “riassumere nei dialoghi”. Di spiegare tutto. Di rendere chiaro, rapido, accessibile ogni pensiero.
Non c’è più fiducia nello spettatore, perché lo spettatore vero non esiste più. È stato sostituito dallo scrollatore, dal passivo, dal mezzo-attenzionato che guarda col telefono in mano e l’altro occhio sul microonde.
Il risultato? Storie semplificate, scene che sembrano trailer, personaggi che parlano come se stessero leggendo la sinossi.
Il cinema si adatta, si svuota, si rende compatibile con chi non lo ama più.
La mia critica non è al cinema. Non è nemmeno allo spettatore.
È a questi idioti che oggi fanno da ponte tra il film e il pubblico. E quel ponte, purtroppo, è marcio.