LutherBlissett
Sul Corriere della Sera di oggi 6 marzo ‘25, in un articolo a firma Gian Guido Vecchi, viene intervistato un prelato, il cardinale Gualtiero Bassetti, 82 anni. Ad un certo punto dell’intervista, il cardinale affronta di petto l’argomento morte, rispondendosi da sé alla domanda di chi sia a soffrire di più al momento della morte, tra l’uomo comune e il Dio incarnato. Come potrai notare, lui arriva a una conclusione radicalmente opposta alla mia.
Preferisco non spoilerizzarti quanto lui dice, lasciandotelo leggere da sola.
Il cardinale Bassetti: «Io, senza respiro per il Covid conosco la sofferenza di Francesco. Ma potrebbe tornare a guidarci»
(Quando era presidente della Cei si ammalò di Covid ed ebbe una polmonite: «Stavo forse peggio del Pontefice, però mi sono ripreso»)
«Nella Bibbia, la parola rûah nomina il respiro e anche lo spirito, l’anima. Capisco che cosa possa aver provato il Papa, so cosa significa quando si rimane senz’aria. Non poter respirare è terribile, peggio di qualsiasi dolore». Il cardinale Gualtiero Bassetti, 82 anni, era presidente della Cei quando alla fine del 2020 si ammalò di Covid e lo portarono d’urgenza in terapia intensiva, «passai un mese in ospedale a Perugia e una ventina di giorni di convalescenza al Gemelli, forse stavo pure peggio di Francesco».
Che cosa aveva, eminenza?
«Una polmonite a entrambi i polmoni unita a una setticemia, un’infezione generale. Il medico che mi curava a un certo punto chiamò il mio segretario: avverta i parenti, umanamente parlando il cardinale è alla fine. A un certo punto mi avevano intubato. Un uomo già molto anziano, di quasi ottant’anni, non sembrava ci fosse molto da fare ormai».
E invece?
«Una mattina apro gli occhi, c’era un televisore acceso in corsia e vedo il Papa che sta celebrando la Messa. Mi viene un colpo: le cresime! Devo andare a fare le cresime e mi sono svegliato tardi! Mi rassicurarono: ma no, stia tranquillo, alle cresime hanno già provveduto, ora sta meglio...».
Stava guidando la Cei e non era un periodo facile...
«Ah per nulla. C’era la pandemia e anche noi avevamo tante questioni da affrontare, chiese aperte, chiese chiuse, messe sì, messe no, ogni vescovo cercava di decidere in coscienza. Per me fu una ripresa abbastanza lenta, però mi sono ripreso».
Oggi che cosa fa?
«Sono arcivescovo emerito di Perugia e vivo ancora nella diocesi, a Città della Pieve, nell’episcopio. Mi sento felicissimo perché sono tornato a fare solo il prete, finché il buon Dio lo vorrà. Do una mano ai sacerdoti della zona, ho ritrovato questa dimensione di presbitero, fratello tra i fratelli... Sto bene, l’unica cosa è che non riesco a sentire più gli odori, ma per il resto mi sono ristabilito completamente, come se non avessi mai avuto il Covid. Ringrazio Dio di non aver avuto altri effetti. Quando ne uscii mi incoraggiò anche Francesco...» (ride).
Che cosa le disse?
«Vado in udienza dal Papa, mi ero appena ripreso, e lui mi fa: sai perché non sei morto? Perché all’inferno non c’era posto per te!».
Come crede stia vivendo questi giorni?
«Francesco lo conosco bene, so che è pronto a fare la volontà del Signore, quale che sia. Stiamo parlando di un uomo di grande fede, un gesuita formato alla spiritualità di Sant’Ignazio, con una forza interiore straordinaria, uno che prima dell’alba si raccoglie in preghiera per due ore, tutte le mattine. Sa che siamo tutti nelle mani di Dio».
Si prova solitudine, nei momenti più critici?
«Sì. È una cosa strana, ma ti accorgi che ti stai staccando dalla vita, come se tutti i tuoi riferimenti, il tuo contesto affettivo, si allontanassero... Non credo ci sia un atto più solitario della morte. Come sacerdote, dico sempre che la morte peggiore è stata quella di Gesù in Croce, perché ha sentito anche l’abbandono del Padre. Eppure l’istinto, anche in quei momenti, è quello di continuare a vivere, fino all’ultimo respiro».
C’è anche paura?
«Sì, è umano. Io davvero non so come fecero a rimettermi al mondo, lo sa Dio e lo sanno i medici. Finché c’è un alito di vita, di pensiero, ti affidi al Signore, invochi i santi, io pensavo anche ai miei genitori... Ma nel momento in cui senti che il respiro ti viene meno, è come se non fossi più te stesso, la tua vita è consegnata a Dio».
Il Papa sa che tanti nel mondo stanno pregando per lui, questo può aiutarlo?
«Le preghiere colmano la solitudine e ti fanno confidare fino in fondo nella misericordia di Dio. Credo che per Francesco sia una grande consolazione, sentire tanto affetto e gratitudine intorno a sé. Ha predicato il Vangelo, ha amato i poveri, la gente gli vuole bene. Prego perché possa riprendersi al meglio e continuare a guidare la Chiesa. Magari non andrà a fare le corse, ma non lo faceva neanche prima. Può governare come ha fatto finora, se Dio gli darà forza continuerà a farlo».
Dunque, l’emerito cardinale risolve in questo modo la questione: Gesù si sente “abbandonato dal Padre”.
Come vedi, è questo il segreto del gran successo che ha avuto in ogni tempo il cristianesimo. Non per niente, la preghiera più potente che mai sia stata inventata e praticata dai credenti cristiani, preghiera di immensa forza paradossale, alla quale dobbiamo perfino riconoscere un fascino inquietante, preghiera a cui non saremmo in grado di contrapporre alcun argomentum è “credo quia absurdum”.