user4098 certo, il concetto di limite in matematica nasce, come per altre cose, per una necessità pratica, estendere la validità di ciò che è già esistente (ad esempio, prima si pensava ai numeri interi strettamente positivi, poi nasce l'esigenza di considerare lo zero e i numeri negativi, poi i numeri razionali=decimali, poi i numeri reali dato che alcuni numei come π non sono esprimibili in forma frazionaria, poi i numeri complessi dato che problemi come x2+1=0 altrimenti non potrebbero essere trattati...), quindi i limiti risolvono le situazioni in cui il risultato "tende ad infinito".
Tornando all'analisi non standard, questa lavora con gli infinitesimi e definisce una vera e propria algebra.
I numeri iperreali sono della forma x+dx (numero finito + infinitesimo) quindi può avere senso creare un vero e proprio "campo" a parte come l'analisi non standard, poiché seguono particolari proprietà (diciamo, si possono intendere anche in termini di analisi "standard", il concetto "non standard" però è un po' come l'analisi complessa che definisce z=a+bi, dove è una generalizzazione del caso reale quando b≠0). Il precedente approccio del limite del rapporto incrementale (Leibniz) va pur sempre bene empiricamente, ma formalmente presenta delle contraddizioni dato che dire dx=infinitesimo, quando si divide per dx affinché sia valida l'operazione, dx≠0 mentre quando si trascura dx è come dice dx=0. Quindi il concetto di limite è valido e funzionale per risolvere un'esigenza pratica, se si cerca un formalismo superiore, sono state proposte tenciche alternative, vedi derivata secondo Robinson:

Con l'esempio y=x2 abbiamo, a differenza del classico limite del rapporto incrementale, un formalismo in più (st = "parte standard di..."):

Non ho mai approfondito particolarmente l'analisi non standard (salvo ambiti specifici, è più di interesse teorico), avevo iniziato un libro in PDF a suo tempo che poi ho piantato a metà, dovrei riprenderlo! 🙂