Tutto ciò ha una controparte filosofica: il già citato olismo, che in filosofia prende il nome di panteismo naturalistico o panteismo razionalistico, o panlogismo, e che vede in Spinoza ed Hegel le sue figure di riferimento. Il tutto in tutto, la logica nel tutto. En kai Pan. Anche a me affascina come visione, ma, in quanto cultore, studioso, studente di filosofia occorre ch'io esprima qualche perplessità in merito.
Giulio_M na nuova "teoria del tutto", considerando osservatore e osservato, pensatore e pensiero un tutt'uno compartecipante, permette di sviscerare il concetto di coscienza non come un ente separato dall'universo ma come un fattore interconnesso alla materia e all'energia, come la fotosintesi clorofilliana è il risultato dell'interazione fra la luce e la materia biologica (metaforicamente, la luce può rappresentare il concetto di coscienza)
Osservatore e osservato un tutt'uno compartecipante; esattamente come nelle filosofie di Hegel e Spinoza. Nella filosofia di Spinoza questo rapporto è, a mio avviso, letto in maniera più razionale che in Hegel, e la coscienza viene lasciata fuori dai giochi, per così dire. La coscienza, S. dice, è solamente un modo, una manifestazione di una totalità complessa e organica; in altre parole non passa nessuna differenza tra la penna e la coscienza, sono entrambi manifestazioni di quella che S. chiama ''sostanza'', un'essenza metafisica impersonale che in termini fisici si potrebbe tradurre - senza troppe ambizioni - con l'energia concentrata nel Big Bang. La coscienza è una modalità della struttura unitaria del reale, niente di più, niente di meno. Questo tipo di olismo è, a mio avviso, molto più razionale di quello che vede la coscienza inseparata dall'universo, molto più moderno e compatibile con le teorie evoluzionistiche, per cui la coscienza è solamente il frutto di un'evoluzione graduale (concezione simile all'ontologia spinoziana, che interpreta la realtà come una manifestazione continuata di modi). La coscienza come il portato di una gradualità che si articola nell'immanente. Ben diversa è la concezione di Bohm, che vorrebbe l'universo unificato con la coscienza. Questa non spiega, p.e, se sia possibile o meno un universo senza coscienza (come in filosofia Hegel quando allude all'indissolubilità tra soggetto e oggetto). Poniamo che la coscienza non esistesse, non esisterebbe neanche l'universo? O, per assurdo, poniamo che non esista nulla fuorché la coscienza, come nell'acosmismo. Difficile a dimostrarsi. Quindi io non utilizzerei l'aggettivo 'compartecipanti', nemmeno 'divisi' o 'separati', al limite applicherei spinozianamente la nozione di causa-effetto: la coscienza è un prodotto razionale dell'Universo. Ma nessuna compartecipazione dal punto di vista ontologico: l'universo è l'albero e la coscienza uno dei suoi rami (certo uno dei più rigogliosi, ma pur sempre contingente rispetto all'universo stesso).
Nel secondo punto la coscienza è addirittura assurta a principio generatore: 'crea interconnessione'. Ma se la coscienza crea, cosa ha creato la medesima, se non l'universo? Se la risposta è che l'universo può esistere solo nella misura in cui esiste la coscienza, quindi nessuno crea l'altro ma l'uno implica l'altro, bisogna ancora una volta assumere dogmaticamente la totale indipendenza ontologica della coscienza rispetto all'universo; e ciò non solo non è verificabile sperimentalmente (e io sono un empirista rigido alla Locke - o peggio - alla W.James) ma non è neanche compatibile con la a mio avviso fededegna teoria evolutiva che vuole la coscienza un fenomeno biologico datosi a posteriori.
Tirando le somme, che coscienza e universo si compenetrino, come uniti ontologicamente, è una spiegazione sì affascinante, ma che non trovo persuasiva come la versione proposta da Spinoza, che pure è olistica, ma che non vuole la coscienza posta intrinsecamente nel Tutto; essa è, piuttosto, una derivazione e propaggine del Tutto.
Ad ogni modo, grazie per la domanda. Uno spiraglio di luce