La Disney porta sullo schermo il trauma e, nonostante ciò, non esita a fare appello alla censura in casi particolari; un esempio è la celebre serie videoludica Kingdom Hearts. Il primo titolo uscì una ventina d'anni fa per la PlayStation 2 e oggi è arrivato a non so quale capitolo; la Disney chiese alla Square, l'azienda con cui collaborava, di non far utilizzare al protagonista una spada per combattere i cattivi; si arrivò così all'idea della chiave.
In ogni caso, a me, personalmente. fa piacere: un tempo le fiabe (e non FAVOLE!) erano narrate per le persone adulte, non per i bambini. Alcuni antropologi (o meglio demologi) hanno persino raccolto e catalogato quelle fiabe narrate (o almeno conosciute) dalle persone anziane in alcune aree marginali d'Italia: queste palesano spesso e volentieri una forma di violenza decisamente inadatta ai bambini.
Le teorie al proposito sono disparate, sicuramente si può pensare ai riti di iniziazione. Viene facile, oggi, applicare principi freudiani e/o junghiani alle fiabe narrate; in altri casi è possibile ricercare un'influenza più remota, dalla Bibbia o dai miti indiani (qualcuno sottolinea che le fiabe potrebbero arrivare dall'India, vista come la culla delle lingue e delle culture indoeuropee).
Un esempio: la caduta di Alice nella tana del coniglio ricorda la discesa nel regno dei morti di Ulisse; in Pinocchio Geppetto che finisce nelle fauci della balena ricorda l'episodio biblico di Giona, mentre il burattino ricorda la rinascita di Lazzaro o - e forse il parallelismo è più logico - le avventure del protagonista delle Metamorfosi di Apuleio, anche lui tramutato in asino perché incapace di farsi i fatti propri (la curiosità è in effetti fonte di problemi tanto in Collodi quanto nell'opera di Apuleio).
Le fiabe Disney viaggiano quindi su un binario parallelo: fanno conoscere la morte e la sconfitta ai bambini, altrimenti ignari di simili eventi della vita, e cercano di dialogare nuovamente con gli adulti, forse con la speranza di poterli "educare".
Prendiamo il caso di Biancaneve e mettiamola in parallelo con altra gente: come di consueto, il protagonista è orfano di uno o entrambi i genitori (tipicamente: David Copperfield, forse l'ultimo esempio di quello che era il romanzo tradizionale inglese); la matrigna impone la separazione: David Copperfield di nuovo (patrigno), ma si tratta di una figura negativa pure in altre vicende. La separazione avviene in un bosco, luogo della perdizione e della prova: Dante si trovava proprio in una selva oscura! Le novelle del Decameron, poi, sono piene zeppe di personaggi che si smarriscono nel bosco. I sette nani non sono altro che la figura dell'aiutante, qui non occorre spendere altre parole.
Sono due gli elementi che mi preme mostrare.
Il primo è il tema della morte apparente, radicalmente diffuso nella letteratura greca: da lì arriva fino a Beautiful! Quanta gente muore per poi tornare all'improvviso, di solito tramite quel processo di riconoscimento che più tecnicamente in letteratura si chiama "agnizione"? Il riconoscimento stravolge la narrazione; il morto che torna risolve o complica la vicenda a seconda del personaggio. Solitamente la morte giunge durante una celebrazione: nel romanzo greco tipicamente le nozze si tramutano in funerale; nelle fiabe Disney troviamo feste, battesimi e ricevimenti di ogni sorta rovinati dal cattivo che annuncia - guarda caso - la morte; può anche farlo dialogando con lo spettatore, non per forza coi personaggi: così cambia l'atmosfera, cambia la musica.
Il secondo elemento è l'happy ending: anche in questo caso la fiaba si riallaccia alla tradizione letteraria.
"E vissero felici e contenti": non sappiamo se Cenerentola e il principe hanno figli, se divorziano, se lui si scopre gay o se lei si dà all'alcoolismo. L'impianto narrativo finisce lì. Manzoni fa uno sforzo in più: come da tradizione fa terminare le vicende di Renzo e Lucia con un matrimonio, e aggiunge che hanno avuto una manciata di figli. Lo fa in tre righe stringate prima della conclusione del romanzo.
A nessuno pare importare come finisca la vicenda.
Il finale racchiude però due elementi importanti: il primo è il matrimonio stesso, rito di passaggio alla dimensione adulta; il secondo è la riabilitazione del personaggio: Biancaneve, come David Copperfield, è stata strappata al mondo cui appartiene; smette di essere una nobildonna per vagabondare in un bosco finché non si trova a vivere con sette minatori, per poi trovarsi vittima di una morte apparente (chi ci vede una scena di stupro da parte del principe, come tanto va di moda dire ultimamente, è pregato gentilmente di cucirsi la bocca e non esternare la propria ignoranza).
Il lettore (per i tempi più antichi l'auditore) si consola così sapendo che il protagonista indiscusso del testo (testo in senso generico eh, può essere anche un'esposizione orale) torni esattamente com'era a inizio storia.
Un approccio di tipo antropologico/sociologico/archeologico/linguistico/psicologico diventa possibile per quelle fiabe definite popolari; esistono poi le fiabe letterarie che si caratterizzano per una migliore caratterizzazione di luoghi e personaggi. Tipici scrittori di fiabe letterarie sono Perrault e Andersen, i quali si contrappongono a chi si limita a raccogliere e rielaborare (per rendere fruibili) le fiabe popolari, come fecero i fratelli Grimm.
Scrivendo il nome di Andersen mi viene in mente come la Disney decida in maniera del tutto arbitraria se portare la morte sullo schermo o meno: è il caso de La sirenetta, in cui il suicidio finale della sirena viene sostituito con il suo ritorno alla forma umana. Una fiaba che invece ha subito pochi (anzi, forse nessuno) ritocchi è La Regina delle nevi, ma non è un film targato Disney (è di produzione russa, forse Sovetkino non ne ho la certezza, comunque qualcosa si trova su YouTube).
Questo per garantire il lieto fine già presentato nelle altre fiabe, mentre Bambi vaga nella tormenta alla ricerca della madre che nel frattempo si è beccata una pallottola e Dumbo consola la madre in gabbia.
In Biancaneve abbiamo la mela col teschio, il primo piano della vecchia malvagia (la cui espressione ricorda sia un teschio che la vecchia di Psycho), lo scheletro nelle segrete del castello, un viaggio nella nebbia sulla barca che la fa sembrare Caronte mentre gli avvoltoi si librano in volo, il particolare della mano di Biancaneve rovesciata a terra mentre la mela rotola lontano, la visione della ragazza dentro una bara di vetro durante la veglia funebre, la vecchia che viene buttata giù da un burrone e i due soliti avvoltoi che scendono in picchiata per mangiare il cadavere.
Senza dimenticare poi il possibile atto di cannibalismo che interessa la regina a inizio film, quando pretende le interiora di Biancaneve (nel film d'animazione è il cuore, nella versione originale vuole il polmone e il fegato, il che sarebbe sembrato meno romantico e troppo splatter in un cartone animato).
Una delle mie storie preferite è quella di Peter Pan, ma occorre leggere il romanzo per capire che il ragazzino non è altro che lo spirito guida dei bambini morti.