Lino Sasso ma se si vuole procedere secondo coscienza e secondo logica è giusto, anzi giustissimo,che una eredità venga spartita in proporzione, secondo i tempi e gli impegni che si sono dedicati, tra tutte le mogli che si hanno avuto ( o mariti se si è donna ).
Il tuo intento è nobile, mosso da una visione positiva e fiduciosa della relazione affettiva.
In questa società alternativa che potrei definire “post-vincolista”, nella quale il legame matrimoniale, anche se estinto nei fatti, continua a produrre effetti giuridici a tempo indefinito... come affronteresti il rischio, tutt’altro che remoto, che qualcuno possa strumentalizzare il matrimonio trascorso, concependolo come un “investimento a lungo termine”?
In altre parole, come impedire che il matrimonio si trasformi, a posteriori, in una strategia patrimoniale mascherata?
Io, personalmente, proporrei questo:
Per scongiurare un uso opportunistico del legame coniugale, l’ex coniuge dovrebbe essere tenuto a dimostrare di aver fornito contributi significativi, siano essi di natura economica o affettiva, e con effetti durevoli, nella formazione del patrimonio del defunto.
I contributi potrebbero includere: partecipazione finanziaria, cura dei figli, rinuncia alla carriera per il coniuge, lavoro domestico prolungato, sostegno morale ecc.
Inoltre, si dovrebbe aggiungere una condizione temporale minima, ovvero che il matrimonio sia durato almeno un tot di anni prestabilito (ad esempio 5 o 10).
Solo in presenza di questi requisiti, si potrebbe riconoscere all’ex coniuge una quota, una percentuale (ad esempio sino al 15%) dell’eredità totale.
Come misura preventiva, lo Stato dovrebbe incoraggiare il testatore a dichiarare espressamente eventuali riconoscimenti in favore dell’ex coniuge, così da evitare conflitti successivi.
Anche un accordo di divorzio potrebbe contenere una clausola facoltativa che anticipa il riconoscimento di tale quota in futuro.