C’era una volta, in un regno lontano chiamato Charles de Gaulle, un gruppo di viaggiatori felici e speranzosi in attesa del maestoso volo AF1578, destinato alla soleggiata terra di Napoli.
Seduti al Gate, circondati da trolley, baguette e sogni di pizza, tutti erano allegri e inconsapevoli dell’avventura che li attendeva. Quando, all’improvviso, un messaggero (ovvero un addetto aeroportuale) si presentò parlando un francese così fitto che persino Molière avrebbe chiesto i sottotitoli. Con tono solenne annunciò che l’Aeroporto Ugo Niutta era stato colpito da un misterioso malfunzionamento del radar, e che, ahimè, le comunicazioni erano svanite nel nulla come calzini nella lavatrice.
I tempi d’attesa? Variabili come l’umore di una strega: da una a tre ore.
Il nostro protagonista, armato di spirito investigativo e connessione Wi-Fi ballerina, si mise subito alla ricerca di notizie. Il panorama era chiaro: voli cancellati a raffica, passeggeri che iniziavano a dimenarsi come in un musical dell’ansia, e un pensiero che faceva capolino nella sua mente:
“È la fine… anche il nostro verrà cancellato.”
Ma ecco il colpo di scena!
Dopo circa un’ora (e qualche bestemmia detta in almeno tre lingue), venne annunciato l’imbarco. Applausi, sorrisi, sollievo: sembrava tutto tornato alla normalità.
Sembrava.
Una volta accomodati in cabina, però, i minuti iniziarono a scorrere. Passano dieci, poi venti. Le teste si voltano, gli sguardi si incrociano. Sussurri, bisbigli, sospiri.
Infine, le hostess – in perfetta sincronia teatrale – annunciarono che non si sarebbe partiti per altre due ore, perché, cito:
“Non possiamo decollare senza autorizzazione. E no, non possiamo riceverla se non siete già a bordo.”
Una logica che avrebbe reso orgoglioso Escher.
Dunque, eccoli lì, rinchiusi in un tubo d’acciaio volante, con poche merendine da raid e un succo che definire “avventuroso” sarebbe un complimento.
A spezzare la tensione, apparve il comandante: carismatico, disponibile e dotato di un umorismo degno di un cabaret a 10.000 metri. Passò tra i passeggeri spiegando pazientemente la situazione a ciascuno, rassicurando animi e distribuendo sorrisi.
Finalmente, dopo due ore e rotti di attesa surreale, il volo prese il volo.
Ma l’incubo non era finito: l’ansia aleggiava come una nuvola di turbolenza emotiva. I pensieri si accavallavano:
“E se il radar ha una ricaduta?”,
“E se ci perdiamo sopra il Vesuvio?”,
“E se il succo era l’inizio di un complotto?”
Fortunatamente, il destino fu clemente: l’aereo toccò terra alle 00:42, invece delle previste 22:05. Un ritardo da favola, in un viaggio che sembrava scritto da uno sceneggiatore sotto caffè e sarcasmo.
E vissero tutti… beh, atterrati