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Taccia, dunque, il giullare stolto, e non si faccia ancor ludibrio di sé più di quanto l’umana miseria consenta. Non proferisca più verbo, ché le sue insensate declamazioni sono come fiato corrotto che appesta il tempio dell’anima. Questo luogo, ch’è sacro alla contemplazione e all’elevazione dello spirito, non sia insozzato dalle sue vanità mondane, ché più empia è la sua presenza che non la serpe nel giardino di Eden.
Io, testimone dell’epoca e nemico d’ogni inganno, mai mi chinai dinanzi a quel marchingegno d’inferno, nato non già per educare ma per stordire, per sopire, per imbavagliare l’altezza del pensiero. Sin dal principio del secolo passato, allorché tal mostruosità prese forma col nome di Musicaly, ne avvertii l’olezzo pestifero. Aborro lo strumento, ché seduce col canto ma svuota la parola; non però il contenuto, ch’ella ha ignorato (come sua consuetudine) mirando all’apparenza e disprezzando la sostanza.
Oh voi che avete orecchi, intendete! La forma senza l’essenza è corpo senz’anima, suono senz’eco, luce senz’ardore. E chi venera la scorza, dimentico del frutto, non è diverso da colui che adora l’idolo e non il divino!
Ma se ancor prosegue il folle nel suo vaniloquio, se ostinato persiste nell’innalzare l’idolo del canto vano sopra l’altare della ragione, sappia ch’egli apre le porte all’Abisso. E verrà il giorno (oh sì, verrà!) in cui il suono che ora incanta sarà il gemito che condanna, e le note che ora solleticano l’orecchio saranno corde di dannazione che legano l’anima al baratro.
I cieli si chiuderanno come libro giudicato, le stelle cadranno come lacrime divine, e in quell’ora né voce, né canto, né danza lo salveranno, ché avrà dimenticato il Verbo e abbracciato l’eco vuota del secolo. Miserere nobis!