Nonostante il figlio sia voluto da ambo i genitori (e, si spera, si cresce insieme), l'eventuale decisione di continuare la gravidanza o abortire, è una decisione –a mio dire– rigorosamente spettante alla donna che lo ha in grembo. Non è una questione di esse femministi o di voler condannare l'uomo, come succede talvolta in quest'epoca, ma soltanto perché è la madre che lo porta in grembo per nove mesi e, se vogliamo essere puntigliosi, l'aborto dovrà subirlo la donna, sul proprio corpo. Credo che oltre all'aspetto fisico, occorra considerare anche l'aspetto psicologico e affettivo in linea prospettica.
L'uomo certamente ha dapprincipio dato l'elemento essenziale per il concepimento ma c'è molto di più oltre al mero atto sessuale.
Invero, nessun soggetto può essere costretto ad assumere una decisione mediante coercizione. Equivarrebbe a una violenza psicologica da denuncia. L’unica ipotesi di diniego dell'IVG è stabilita dal medico competente mediante la cd. obiezione di coscienza.
Il padre non può obbligare la propria compagna ad abortire; se tale principio fosse valido, ne conseguirebbe anche il diritto di contrastare il rifiuto di riconoscere il figlio da parte del padre. Quanti figli non vengono riconosciuti o ancor oggi abbandonati in tenera etade?
Al più, il padre potrebbe decidere di parlarne con la propria compagna al fine di pervenire, congiuntamente, a una risoluzione. Il dialogo è importante; non la coercizione.