Una mia cugina della mia stessa età, unica persona che fosse a mia disposizione, sia all'interno del nucleo familiare che non, mi ha abbandonata emotivamente e moralmente da ormai un anno. Non ne vuole più sapere di me, della mia esistenza, di quanto io abbia un grandissimo, enorme, bisogno di essere ascoltata e sostenuta per i miei problemi e per la mia sfera personale in generale. Io ho provato a fare tutto quello che potessi per cercare di farla pentire e riflettere: a creare un profilo falso per contattarla sul social network Instagram, a mandarle messaggi su Whatsapp accusandola penalmente apposta di "abbandono di persona incapace", "omissione di soccorso" e "concorso in reato" secondo gli articoli 591, 593 e 110 c.p, poichè lei non si è mai resa conto di quanto fosse grande la sua responsabilità nei miei confronti. E no, non è questione di "libero arbitrio", perchè quando si ha l'obbligo etico e civile di prendersi cura di un'altra persona, non si può pensare di fare di punto in bianco la prima cosa che ti passa per la testa, non perché fosse in senso tradizionale la mia "badante" o dama di compagnia, ma quasi, almeno a distanza, poichè fosse l'unica e sola figura a potermi offrire il supporto di cui ho esigenza. Lei tentò di giustificarsi con: "non è compito mio" e "non so più che dire o che fare" (questo prima di mettersi a inventare cose che non fossero vere e diffamarmi con chi sa lei, come dicendo che io la volessi trattare come un "capro espiatorio" oppure che la perseguitassi). Ma non sono delle scuse e non può discolparsi così: perché io sono dalla parte del valore sociale e morale che se non sai come aiutare una familiare con problemi psicologici/psichiatrici, parentali o personali che siano, di qualunque grattacapo si tratta, devi fare del tuo meglio per riuscirci o tentarci. Non hai gli strumenti intellettuali, la conoscenza tecnica, teorica, pratica, embè? Te la formi, te li inventi, costruisci gli attrezzi se non li trovi o non ce li hai. So che con altissima, quasi tutta probabilità, farle cambiare idea è impossibile, specialmente considerando che non è una decisione proveniente solo da lei ma da chi gliel'ha inculcata e condizionata, ma non è giusto (nè legale) che sta continuando a farmi marcire e peggiorare come se niente fosse, mentre pensa a doversi diplomare, andare all'università, a fotografare i suoi gatti, le sue piante, i paesaggi campagnoli. Non le ho mai chiesto di fare cose eroiche o ineseguibili per aiutarmi, di rubare che so una nave, rapinare una banca, ma semplicemente di ascoltarmi e starmi affianco anche solo oralmente, non materialmente. Ci sta che nessuno può essere costretto a fare ciò che non gli va, ma nel mio caso individuale non è mai stato così: la circostanza è sempre stata estesa a una responsabilità collettiva nei miei confronti, a una richiesta collaborativa, perché lei lo sa benissimo (o forse no, io che ne posso sapere in fondo se non parla?) che le mie problematiche non sono passeggere, quindi come fa a non avere sensi di colpa nè rimorso, oppure se li ha, a fregarsene lo stesso? Non c'è alcun bisogno di fare chissà quali gran sforzi per una cugina sofferente principalmente di depressione maggiore cronica: è una cura palliativa già l'attenzione verbale in sè. È un mio diritto inalienabile in quanto malata inguaribile, potermi sfogare e dovere civico suo accoglierlo. Che dovrei fare se omette la solidarietà allora? Fare domanda all' I.N.P.S per l'ottenimento di invalidità civile secondo la Legge 104/1992 e cercare di farmi assegnare un'assistenza sanitaria personalizzata da una figura sostitutiva a lei (una agente di accudimento magari) (che sarebbe oltretutto fattibile)??