Quello che poni è un dilemma molto importante per la nostra epoca.
Il consumo della bellezza rientra nelle caratteristiche elencate da Zygmunt Bauman mentre delinea la teoria della "società fluida", costituita da persone che consumano e si autoconsumano, corrompendo se stessi, l'arte e perfino l'amore.
In tal senso, la bellezza viene prosciugata per poi essere gettata via. È un po' il sogno dei vecchi esteti che però auspicavano al tempo stesso una bellezza eterna, vedendo nel decadimento l'ineluttabile tragedia della vita (vedi "Il ritratto di Dorian Gray" di Oscar Wilde).
La protezione della bellezza, o la sua conservazione, è anch'esso inserito tra i valori elencati dal sociologo Bauman, che però costituiscono la figura del Sacer, colui che non butta, ma ripara, conserva e vive molto più lentamente rispetto al suo collega consumatore, spesso finendo ai margini della società per la sua impossibilità ad attenersi ai diktat di consumo costante del soggetto come dell'oggetto.
Esso rientra anche nell'atteggiamento di colui che conserva e preserva la sapienza antica.
La mia risposta a questo dilemma è perciò sia sociologa, sia soggettiva.
Bauman affermava che il consumare, come l'auto-consumarsi, portasse l'individuo verso l'autodistruzione.
Viceversa, consigliava la protezione della bellezza, sostituendo l'iper-capitalismo con il capitalismo etico, più a base sociale e ambientalista rispetto al consumo smodato.
E io do ragione a Bauman. 😃