(Nota: mi manca aggiungere ancora i riferimenti ai versi precisi dell'odissea ma per il resto il testo rimane invariato)
L’aedo nella Tradizione Omerica
Testo basato sugli appunti presi sul testo
Gli aedi della tradizione omerica sono figure complesse e mistiche, molto più vicine a sacerdoti ed oracoli che ai semplici artisti.
Infatti il ruolo dell’aedo nella società è sia quello di allietare (τέρπειν; ) le persone con il dolce canto (̓δεῖαν ἀοιδήν; ) che di istruirle: lui soltanto infatti, poiché benedetto dalla Musa Calliope (θεὸς πέρι δῶκεν ἀοιδὴν τέρπειν; ), può – tramite i racconti e le celebrazioni delle gesta d’eroi e Dei – mostrare agli uomini la via del bene. La musa lo rende cieco del mero mondo materiale (ὀφθαλμῶν μὲν ἄμερσε; ), esige un pesante «tributo», ma ricompensa l’aedo con la visione dello spirito, con la capacità di «vedere oltre», di conoscere il bene e il male (τὸν πέρι μοῦσἐ ̓φίλησε, δίδου δἀ ̓γαθόν τε κακόν τε; ).
L’aedo è, senza mezzi termini, un messaggero divino. Proprio «divino cantore» (θείον αοιδον; ) è l’epiteto con cui viene più frequentemente indicato. È un personaggio rispettato da tutti, sul quale persino i sovrani hanno poca autorità: è infatti una grazia avere l’aedo – famoso (περικλυτ`ος; ) messaggero della Musa – a suonare e cantare nella propria sala, a palazzo. Gli aedi infatti si esibiscono nei mégaron dei palazzi reali, solitamente in occasione dei banchetti (ὣς οἱ μὲν δαίνυντο […]: μετὰ δέ σφιν ἐμέλπετο θεῖος ἀοιδὸς φορμίζων; ). Siedono in mezzo ai convitati, su uno scranno apposta per loro (θῆκε θρόνον ἀργυρόηλον μέσσωι δαιτυμόνων, πρὸς κίονα μακρὸν ἐρείσας; ), e suonano solo quando l’ispirazione li coglie. Per questo, la cetra (φόρμιγγα; ) – lo strumento con cui dilettano i commensali – viene posata a loro fianco o appesa ad una delle colonne accanto allo scranno (κὰδ δἐ ̓κ πασσαλόφι κρέμασεν φόρμιγγα λίγειαν αὐτοὑ ῦπὲρ κεφαλῆς καἐ ὶπέφραδε χερσὶν ἑλέσθαι κῆρυξ; ), cosicché venga presa al momento del bisogno.
Quando l’aedo comincia a suonare, poi, il silenzio cala tra gli avventori (οἱ δὲ σιωπῆι ἥατἀ ̓κούοντες; ). L’esibizione del cantore è un momento magico, sacro. Può, durante il canto, venire accompagnato anche da altre forme di «arte rappresentativa», come la danza e l’acrobazia (δοιὼ δὲ κυβιστητῆρε κατ ̓ αὐτούς, μολπῆς ἐξάρχοντος, ἐδίνευον κατὰ μέσσους; ).
Queste esibizioni che deliziano gli ascoltatori però non sono «preparate». Non sono neppure un prodotto della sola arte dell’aedo: è la Musa Calliope che ispira il cantore (μοῦσἄ ̓ρἀ ̓οιδὸν ἀνῆκεν ἀειδέμεναι κλέα ἀνδρῶν; ), che fa «fluire» in lui la materia divina del canto. Difatti l’aedo suona ciò che sente ed è il pubblico a doversi dilettare con i suoi canti: ad un aedo non si può fare una «richiesta» d’esibizione in merito ad uno specifico tema, poiché egli agisce solo e soltanto guidato dall’ispirazione (ὅππηι θυμὸς ἐποτρύνηισιν ἀείδειν; ). È un po’ un medium, che incanala messaggi tramite le storie, dalla dimensione divina dentro a quella umana.
I messaggi nei canti dell’aedo sono di tipo educativo, nel senso che sono volti a mostrare la retta via e i comportamenti sbagliati tramite i racconti delle glorie – e delle tragedie – degli eroi e degli Dei. Gli aedi infatti cantano delle imprese, dei lutti, delle battaglie, degli inganni, delle competizioni: sono i custodi della sapienza «eroica» degli uomini (πολλὰ γὰρ ἄλλα βροτῶν θελκτήρια οἶδας, ἔργἀ ̓νδρῶν τε θεῶν τε, τά τε κλείουσιν ἀοιδοί; ), e la usano per dilettare e allietare (τέρπειν; ), così come per istruire, gli uomini.
Da tutto ciò si possono anche dedurre alcune cose su Omero stesso, o su chi per lui ha redatto Iliade e Odissea.
Primo indizio che si evince dal testo è che gli aedi già nella stessa Odissea cantavano della malasorte degli achei (δανων κακών οιτων αεδειν; ) e dei «ritorni» degli eroi alle loro case (ὁ δ’A’χαιῶν νόστον ἄειδε λυγρόν; ), dopo la conclusione della Guerra di Troia. Il poeta ci sta quindi probabilmente dicendo di essere lui stesso un aedo, poiché sta cantando – con la sua composizione – del ritorno di uno degli eroi.
Un altro interessante «indizio» è il riferimento ricorrente al binomio cecità – vista interiore dell’aedo: il nome stesso di Omero infatti potrebbe significare «Colui che è Cieco», e tale epiteto potrebbe quindi essergli stato dato proprio in quanto aedo.